Associazione professionale Proteo Fare Sapere
27 aprile 2020

"A scuola e a casa si gioca a (C)Arte" di Patrizia Costanzo

Vanessa insegna arts plastiques in un istituto di una cittadina della Francia.
Mi racconta che anche in Francia, nel quadro del contenimento dell’epidemia da Covid19, le scuole sono chiuse; anche qui i docenti sono impegnati nella didattica a distanza.

 

Vanessa insegna arts plastiques in un istituto di una cittadina della Francia.
Mi racconta – attraverso la  plurima messaggistica oggi in uso,  o per telefono o  altro strumento di videocomunicazione e chat – che anche in Francia, nel quadro del contenimento dell’epidemia da Covid19,   le scuole sono chiuse;  anche qui i docenti sono impegnati nella didattica a distanza.
La nostra conversazione è dialogica, pur nei limiti della competenza linguistica  di entrambe inerentemente alle  due lingue madri (italiano e francese), sebbene  spesso mi trovo a constatare  “sapessi io il francese, come lei sa l’italiano”.
Comunque ci mettiamo in condizione di reciprocità, ascolto, curiosità; di volta in volta siamo emittente o destinatario di un messaggio, ci scambiamo e co-costruiamo informazioni e conoscenze e (almeno spero) senza alcuna pretesa di condivisione – forzata o subita –  di significati, ma anche senza rigorismi e rigidità poiché, come meglio qualcuno ha spiegato,  “parlare è scambiare, ed è cambiare scambiando”.
Ovviamente Vanessa più spesso racconta e, sollecitata da mie domande e “provocazioni”, aggiunge e colora con note e considerazioni.
Il dispositivo utilizzato per fare lezione a distanza è “ma classe à la maison”,  una piattaforma del CNED (centro  nazionale di insegnamento a distanza); attraverso esso  i docenti  di ogni ordine e grado di scuola mettono in linea lezioni predisposte ma “personalizzate”, “fatte proprie“, “implementate” da ogni scuola, nel quadro dei programmi ministeriali.
Ogni scuola può tuttavia utilizzare altri e alternativi strumenti e piattaforme gestite direttamente da docenti per realizzare lezioni, corsi, forum o mettere online i propri materiali.
I docenti della scuola in cui insegna Vanessa usano un programma che – prima utilizzato solo per inviare i risultati dei compiti (giudizio e nota) – consente oggi, attraverso un’apposita applicazione, di comunicare con gli studenti, con i genitori e tra professori. 
Tale programma, aggiunge Vanessa, è utilizzato ovviamente ai fini dell’apprendimento di conoscenze disciplinari, per inviare /ricevere lezioni e compiti,  ma anche (e uso le sue parole)  “per mantenere il legame tra insegnante e studenti,  insomma mantenere e rafforzare  positive dinamiche  relazionali e di  gruppo”.
Vanessa mi spiega che arts plastiques non è semplicemente una disciplina, ma semmai una pluridisciplina perché ricorre a  diversi modi e tecniche e campi d’indagine, da quelli più tradizionali e/o convenzionali, a quelli più recenti e innovativi  (dalla pittura, al collage, alla ceramica... fino alla fotografia, al video, al computer, all’installazione) e,  investendo tutti i 5 sensi, potenzia conoscenze e competenze  mentre dà modo di esprimere  emozioni e  sentimenti.
E proprio nella prospettiva di vicinanza e supporto emozionale, Vanessa mi accenna, a grandi linee,  di un percorso educativo/didattico, realizzato con i “suoi” alunni, che lei stessa ha voluto sperimentare  con le sue bambine, Eleonora e Valentina. Mi manda alcune fotografie.
Vanessa, in prima battuta, invita gli alunni – comunicando di volta in volta gli appositi link – a visitare “virtualmente” musei e centri culturali; ogni visita diventa argomento di scambio e di confronto attraverso  un’apposita griglia, “tarata” in ragione dell’età degli studenti e prerequisiti o della specificità dell’oggetto di analisi (dipinto, mosaico, incisione, fotografia...) e, dunque,  strutturata  con indicatori e descrittori o altre  coordinate  riconducibili  a collocazione, artista/autore, contesto storico-culturale-artistico,  genere artistico (di vita quotidiana e materiale, paesaggistico, mitologico, sacro, ritrattistica...),  eventuale committenza,  materiale utilizzato, tecnica compositiva  e “valore espressivo”,  dimensioni, funzione e fruibilità, relazione tra titolo e soggetto dell’opera... fino all’attestato di “bellezza” e non solo per armonia/equilibrio  di forme e colori dell’opera,  ma anche (o forse soprattutto)  considerando gli aspetti emozionali.
Pur dinamico e per certi versi innovativo, non sempre il percorso così proposto – sottolinea Vanessa nel suo racconto – aggancia l’interesse degli alunni: anzi i più, quasi annoiati, rispondono  aveuglément, interpretando i desideri  e le aspettative della professoressa.
Intanto il rientro a scuola, come la ripresa di altre attività e servizi, viene prorogato.
Vanessa, raccordandosi con altri insegnanti e genitori, pensa a qualcosa di più “accattivante”.
Fermo restando l’obiettivo di far  acquisire e consolidare progressivamente  un metodo di analisi dell’opera d’arte (stile,  caratteristiche specifiche, identità storica e valori espressivi...), viene proposto agli alunni di “giocare a (C)Arte” in famiglia o – utilizzando apposita piattaforma, mezzi e tecnologie  –  in gruppo con altri compagni.
In sostanza il gruppo familiare o di compagni riceverà virtualmente un mazzo di carte singolari: sono ritratti o autoritratti famosi, opere di altrettanti famosi artisti.
Ciascun giocatore avrà una carta, assegnatagli per sorteggio; ognuno dovrà ri-fare il ritratto, il più somigliante possibile, ma di sé stesso e utilizzando (rielaborando con una sorta di adattamento e accomodamento)  oggetti e spazi di casa propria.
È consentito, se il gruppo di gioco condivide,  scegliere un ritratto /autoritratto.
Al termine, ciascun studente dovrà documentare il risultato e/o anche le fasi, con video o fotografia e condividerlo con altri compagni, sempre attraverso la piattaforma o con i dovuti strumenti e tecnologie.
«D’altra parte – rileva Vanessa –  il selfie non è forse la versione aggiornata dell’autoritratto? Indubbiamente gli smartphone, la webcam e poi i social network  ne velocizzano la trasmissione o la fruizione».
Vanessa insiste con gli alunni: lavorare in gruppo  e per quanto possibile fare insieme, supportarsi e scambiare idee, indicazioni, strategie, competenze.
Solo la  “relazione” conclusiva dovrà  essere svolta individualmente: una sorta  di scheda tecnica, con dati essenziali, strutturata  con domande o quesiti a risposta chiusa (vero/falso; oppure  a scelta multipla, completamento di frase o di breve testo);   ciascun studente aggiungerà  annotazioni personali  (min 50, max 100 parole).
A questo proposito – suggerisco –  perché non promuovere un forum con gli studenti sul significato latente o esplicito del selfie? Forse è meglio un semplice brainstorming: chiedere agli studenti una personale  interpretazione (egocentrismo, esibizionismo, narcisismo, desiderio di accreditarsi, trattenere/ricordare/comunicare un concetto,   un’emozione, un momento singolare, un modo per guardarsi dentro, per guardare fuori...).
Evidentemente il “compito” comporta diverse fasi: minuziosa osservazione dell’opera, ricerca e selezione degli oggetti e spazi, scenografia, “trucco e parrucco”,  strumento e tecnica di ripresa,  montaggio...  e condivisione.
Vanessa stessa si è messa in gioco (o ha trovato il pretesto per giocare): ha testato il percorso didattico con le sue bambine.
«Si  sono divertite  e tanto; anch’io!!!» mi comunica con enfasi e soddisfazione.
Il risultato è (a mio parere) stupefacente.
Gli studenti di Vanessa hanno un’età, dagli 11 ai 15 anni.
Vanessa ha elaborato il progetto per quell’età.
Ma, indubbiamente, è  declinabile (adattabile) fin dai 5 -6 anni.  Eleonora e Valentina hanno rispettivamente 8½  e 5 anni.
Il  bambino e/o l’adolescente, attraverso questo modulo didattico, è sollecitato a ricercare strategie compositive e decorative,  a ideare, combinare, manipolare cose, oggetti, smontarli, rimontarli; si misura con la sua immaginazione, con la sua inventiva, con il fare; si confronta con altri, coetanei e adulti;  utilizza materiali diversi ed esperienze inconsuete per produrre rappresentazioni della realtà, degli stati d'animo, di un'idea;  elabora ed  interpreta emozioni e sentimenti.
Vanessa nel farsi del progetto  rileva, attraverso discussioni e piccoli questionari, la partecipazione attiva  e la soddisfazione delle attese da parte degli alunni,   anche al fine di integrare e apportare significanti  strategie e modalità didattico-espressive al complessivo progetto e piano di lavoro inerente les arts plastiques.
E mentre racconta, le  balena in testa una possibile pubblicazione del lavoro degli alunni sul sito della scuola, una mostra virtuale  con tanto di locandine  informative.
Da tempo  avrei voluto fare a Vanessa una domanda scottante, greve nel dibattito pedagogico di oggi, ma rinviavo... aspettando non so cosa.
E quel qualcosa non arrivava mai; dunque – solo pochi giorni fa – le ho chiesto, interrompendo la sua narrazione: «Non temi che la didattica a distanza  possa sostituire la didattica in presenza?»
La sua risposta è stata immediata e in francese  «Non, absolument pas... rien ne remplace un cours en présentiel
E aggiunge, poi in italiano, la scuola è troppo importante, è proprio il luogo dell’apprendimento e non solo rispetto a conoscenze /competenze disciplinari, ma è crescita complessiva della persona perché è un mondo pieno, stimolante di relazioni, di scambio... tutti i sensi connotano il clima relazionale, non affatto sostituibile da strumenti tecnologici,  pur avanzatissimi.  Questi vanno usati e pensati come strumenti, come occasioni di supporto o  – come  in questo caso di “confinamento” a casa – mezzo di vicinanza,  per confinare (semmai) angosce,  paure, senso di smarrimento...,  per alleggerire la quotidianità anche con screzi , risatine, piccole trasgressioni rispetto a un compito assegnato dal docente o a una lezione frettolosa o noiosa nonostante le avanzate tecnologie. 
Basta pensare che a scuola, sottolinea Vanessa, io mi  relaziono contemporaneamente ma anche individualmente, con tutti gli studenti della classe o del laboratorio che sia  e tutti loro con me; quel clima relazionale è fatto di odori, di sguardi, voci, suoni, rumori... di emozioni e sensazioni  che le tecnologie non danno.
Con gli strumenti didattici, avanzati e ricchi  di effetti speciali, né io né loro abbiamo “visione d’insieme” e la relazione è più che mai  asimmetrica.
Però, è anche vero, che attraverso certi strumenti tecnologici ho potuto essere “accanto” ai miei alunni e,  sempre attraverso essi,  i miei alunni hanno potuto  vedere e capire – e con piacere – argomenti  culturali e artistici non sempre facilmente raggiungibili e fruibili.
Che dire, sono d’accordo, pienamente d’accordo.
E ancora ascolto, mi piace ascoltare e inferire impegno, passione professionale;   riguardo più volte quelle foto: gran bel lavoro Vanessa,  bellissime quelle due bimbe. Dunque, come un’alunna attenta e motivata da tanti spunti e ammiccamenti,  “abbocco” e mi metto al lavoro  ed elaboro un video (in allegato).
Insomma faccio i compiti... o come direbbe Eleonora i “doveri”: perché così si chiamano  in Francia.
Tempi lunghissimi, operazioni complicate e complesse;  totale immersione per scegliere, ritagliare, rifinire, soprapporre, dissolvere, sfumare, trascinare, raccordare, spezzare, ri-inquadrare, dinamizzare, sonorizzare, “convertire”,  aggiungere, sottrarre, cancellare/modificare parti, posizionare, sequenziare e rallentingare (non so neppure se esistono questi verbi: se no... ben vengano – supportano il concetto – i neologismi)... immagini  ipg, gif, png   e foto o piccoli video al fine di un editing con una struttura narrativa (con tanto di  prologo, svolgimento ed  epilogo o forse no).
Insomma un’altalena di operazioni “tecniche”e  stili.
Dopotutto la motivazione non è piccola cosa:  non solo per la mia esperienza – per me rilevante –  nella scuola[1], ma anche per Eleonora e Valentina, le mie nipotine, due tra i miei amori più grandi.

 

Patrizia Costanzo

 

 

 

[1] maestra nella scuola elementare, docente di lettere scuola secondaria 2° grado, dirigente scolastica in scuola secondaria 1° e 2° grado.

 

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