Associazione professionale Proteo Fare Sapere
02 ottobre 2023

Le proposte di innovazione della “filiera” della Istruzione Tecnica e Professionale

di Franco De Anna, Cts Proteo Fare Sapere

Premesse (scontate)

In tutte le occasioni in cui “si parla e ci si confronta” su istruzione e scuola, sia nel dibattito culturale e scientifico, ma soprattutto nelle dichiarazioni e nei programmi politici, bisogna sempre tenere come retropensier0 alcune scontate premesse.

Provo ad esplicitarle

  1. La scuola e l’istruzione rappresentano sistemi oggetto di decisioni e scelte di “lunga durata”. Hanno tempi di realizzazione e soprattutto di verifica delle decisioni, “oggettivamente” proiettati sul futuro. Innanzi tutto, perché gli effetti delle decisioni assunte, per fondate che siano, si misurano sulle generazioni successive.
    Ma anche per il fatto che i sistemi di istruzione, scuola e formazione rappresentano sottoinsiemi sociali e amministrativi di grande dimensione (e progressivamente in crescita fino a coprire l’universo delle generazioni…). Dunque con inevitabili e oggettive tensioni interne di “conservazione e riproduzione” dell’esistente che guardano alla innovazione come ad un pericolo e una incertezza.

     
  2. Al contrario, e soprattutto nel nostro Paese, le politiche dell’Istruzione vengono sempre assunte come “caratterizzanti” le diverse maggioranze e i diversi Governi, e dunque sono condizionate da una politica a “breve” e dalla necessità di catturare consenso.
    Rispetto all’argomento qui trattato, per esempio, andrebbe ricordato che l’idea di “un sistema di istruzione e formazione tecnica superiore (Ifts)” nasce nel lontano 1999 col ministro Berlinguer.
    E che la sua costituzione e realizzazione sono state immediatamente rese più complesse fino alla paralisi dalla ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni  (Riforma Costituzionale)  ma anche dalla autonomia delle Istituzioni Scolastiche.
    Da allora si sono susseguiti ben 14 Ministri dell’Istruzione di diversa appartenenza politica e di Governi di diverso schieramento.
    Da aggiungere inoltre che il sistema di istruzione e formazione professionale di competenza regionale (IeFP) è nato con la legge 53/2003 della Moratti.
    Da allora è stato tutto un susseguirsi di riforme e controriforme per “raccordare” i sistemi, sviluppare competenze, coordinarsi col mondo produttivo, potenziare il “saper fare” e l’apprendimento “on the job”, la didattica “laboratoriale”, la modularità e la flessibilità dei percorsi. Preservando il valore fondamentale dell’Istruzione.
    Tutti argomenti ripresi nelle stesse proposte dell’attuale Ministro. ([1])

     
  3. Il grado di ripetitività e di scontata significatività caratterizza anche alcune analisi essenziali di partner ed interlocutori fondamentali del sistema della istruzione e formazione professionale.
    Innanzi tutto il mondo della impresa e dell’economia, con il suo rimarcare e puntare l’attenzione sulla non corrispondenza tra la domanda che proviene dalla economia e dalla impresa e l’offerta del sistema di formazione: la non-corrispondenza denunciata come “limite “ dell’istruzione spesso sottacendo limiti e impegni possibili della stessa impresa per superare tale non corrispondenza.
    Ma, sul versante ideale opposto, la sottolineatura, proveniente spesso dal mondo dell’istruzione che non possa né debba essere suo compito quello di “formare al lavoro”.

    L’alternativa è l’idea che la scuola deve dare gli strumenti cognitivi a tutti e non sottostare alle esigenze della economia.
    Una affermazione cara che caratterizza da sempre alcune “scuole di pensiero” di consistente rappresentatività e che non manca di far sentire la sua opposizione.
    “No al lavoro al posto dell’istruzione” è uno slogan che ha sempre fatto presa e che si è espresso anche contro i progetti di integrazione scuola-lavoro, anche nella loro più esile formilazione odierna.

Occorre dunque guardare alle intenzioni del Ministro con interesse particolare  alle proposte “attuali” e con la attenzione critica alle “applicazioni” specifiche del settore ed alle realizzazioni coerenti con le prospettive della politica dell’istruzione e formazione rivolta all’intero sistema.

L’eredità del Ministro.

Alcune delle tappe progressivamente esplorate nella storia dell’ultimo trentennio e citate nel capitolo precedente, sono state assunte nelle proposte del Ministro come “premesse” e figurano non a caso nelle sue dichiarazioni.

  1. Il Sistema degli IFTS si è andato via via consolidando in questi anni in alcune esperienze di grande interesse.
    Sia per i contenuti esplorati per una Istruzione Tecnica qualificata e collegata al mondo della impresa e delle tecnologie applicate alla produzione, sia per i modelli di G0vernance (di “governo misto”) che hanno visto coinvolti le Istituzioni scolastiche (in particolare Istituti Tecnici), le imprese e le associazioni di impresa.
    Grande rilevanza è stata data in tali esperienze al ruolo ed allo sviluppo di lab0ratori e della didattica relativa.
      
  2. La stessa configurazione degli IFTS come Academy e come “Campus”, ribadita nelle proposte del Ministro è il frutto di tale esperienza che si è misurata con la necessità di sviluppare aggregazioni multisettoriali e multifunzionali per ottimizzare risorse umane e materiali per una formazione efficace e flessibile e con sviluppi successivi di formazione superiore.
     
  3. Lo sviluppo tecnologico in rapida evoluzione costituisce tuttavia un processo di difficile interpretazione e applicazione. Spesso le considerazioni relative ella non corrispondenza tra domanda e offerta di competenze e professionalità, ma anche la rilevanza che sembra assumere la formazione di “competenze non strettamente operative” ma di carattere personale, segnano l’incertezza delle stesse argomentazioni di ispirazione economica, e un “disallineamento” che va oltre la contingenza e che richiederebbe una ricerca di base e una formazione che va oltre q1uella immediatamente “tecnica. ([2])
     
  4. Sotto tale profilo si ripropone la necessità del superamento dei confini dell’intervento alla sola formazione tecnica e professionale e di misurarsi invece con l’assetto complessivo del sistema di istruzione che ne sta alla base.
    D’altra parte, nelle stesse proposte del Ministro si indica una riduzione della formazione tecnica ad un quadriennio propedeutico alla successiva formazione superiore.
    Ma ciò implica evidentemente due conseguenze possibili:
  1. la prima è di investire il complesso del sistema di Istruzione riaffrontando una questione storica che fu quella della “Riforma dei cicli” (Ministro Berlinguer). [3]
    A suo tempo campo di contraddizioni radicali all’interno dello stesso sistema della scuola
  2. La seconda è quella che sembra avere scelto il Ministro di indicare il modello da seguire secondo “le esigenze educative, culturali e professionali delle giovani generazioni, e alle esigenze del settore produttivo nazionale secondo gli obiettivi del Piano nazionale Industria 4.0”.
    Ma in tale prospettiva resta comunque la caratterizzazione del sistema di istruzione tecnica e professionale come “altro” (e di seconda qualità?) rispetto alla formazione generale affidata al sistema scolastico.
    Una contraddizione rispetto alle stesse dichiarazioni che si vorrebbe “avvaloranti” del Ministro.

Dalle note precedenti emerge la complessità e contraddittorietà, soprattutto in una prospettiva realizzativa di “lunga durata” (necessaria, come si sottolineava in premessa) del disegno di questo Ministero, anche a prescindere dai limiti “oggettivi” delle singole proposte.
Sullo sfondo rimane il reale “fattore limitante”.
Dopo decenni di elaborazioni e rielaborazioni, proposte e dibattiti sulla scuola,  rimangono senza esito alcune premesse poste in sostanza da oltre un ventennio e rimaste senza realizzazioni se non qualche “aggiustamento”.
Il sistema di Istruzione e formazione nazionale è afflitto da una stratificazione di “incompiuti e innovazioni inapplicate” che rischiano di riprodursi ad ogni “proposta di riforma”.

Per citare

  1. La realizzazione effettiva e compiuta della Autonomia delle Istituzioni scolastiche, quotidianamente mortificata dopo l’entusiasmo iniziale, da un ventennio di ripresa del modello e della pratica centralistica del Ministero
     
  2. La ripartizione di competenze Stato Regioni e la presenza dei protagonisti (vedi per esempio le rappresentanze delle Istituzioni scolastiche autonome) nella struttura nazionale di Governance (la Conferenza Stato Regioni).
    E ciò vale anche per le articolazioni di forme di “governo misto” tra scuola e Territorio con il sistema degli Enti Territoriali e del Terzo settore. ([4])
    Una questione che rispetto al merito qui trattato (la “filiera della Istruzione e formazione Tecnica e Professionale) ha valore essenziale ed è condizione strutturale di esistenza. 

     
  3. La riforma dei cicli che ponga rimedio tanto alla durata complessiva della scuola, quanto alla contraddizione della struttura intera dei 12 anni dell’obbligo, considerata inadeguata ed obsoleta dalla ricerca pedagogica nazionale e internazionale. (Vedi nota precedente).
    La
    riduzione ad un quadriennio proposta dal Ministro non può essere un espediente “settoriale” che rinforza le differenziazioni e le scale di valore sociale, formativo e culturale.

     
  4. I programmi e le misure conseguenti per il superamento delle stratificazioni socioeconomiche, geografiche e settoriali che rendono “diseguale” il Sistema e che alimentano la evasione sia esplicita che implicita.
     
  5. Una istanza permanente dell’impegno della Ricerca Educativa alla revisione, riscrittura innovazione e manutenzione dei contenuti dell’insegnamento e dell’apprendimento.
    In assenza di tale impegno diffuso e condiviso si riproduce “il canone” della enciclopedia delle discipline (con la contrapposizione obsoleta di umanesimo e scienze resa ancora più obsoleta dallo sviluppo delle TIC e di forme miste di apprendimento).
    E in tale “canone” riprodotto si ricollocano permanentemente i differenziali di valore degli indirizzi e delle stesse “materie” di studio.
    La stagione storica dello sviluppo delle TIC e la esperienza emergenziale della pandemia che ha coinvolto radicalmente, le scuole hanno portato in superficie i “sugheri nascosti” di un modello storico tradizionale di “Trivio e Quadrivio” che fa/faceva parte integrante di quel “Canone” permanentemente riprodotto quasi in automatico  e condizionante del Sistema Nazionale di Istruzione.

 


([1]) Si legga la affermazione contenuta nelle dichiarazioni del Ministro “Oggi l’istruzione tecnica e professionale diventa finalmente un canale di serie A, in grado di garantire agli studenti una formazione che valorizzi i talenti e le potenzialità di ognuno e sia spendibile nel mondo del lavoro, garantendo competitività al nostro sistema produttivo”. Potrebbe essere stata formulata da ciascuno dei Ministri precedenti.
([2]) proprio perché “campo di ricerca” non è possibile sviluppare adeguatamente in queste note.

Mi permetto solo la citazione di una “semplificazione” spesso ripetuta senza approfondimenti.

È relativa al ruolo delle tecnologie delle TIC nello sviluppo economico e globale, e all’indirizzo conseguente di uno sviluppo di competenze tecnologiche “leggere”.

Basti al contrario solamente pensare a quanto i “processi di globalizzazione e internazionalizzazione  economica” siano legati a “tecnologie pesanti” come quelle della logistica: senza porta container e senza TIR capaci di caricare container non avremmo e avremmo avuto sviluppo economico globale. 

([3]) Mi riferisco in particolare al modello 4+4+4 con il secondo quadriennio che proponeva una radicale innovazione della “scuola media” con il primo biennio in raccordo con la primaria e il secondo in raccordo con la superiore.
E il quadriennio della superiore largamente unificato nel sistema con la articolazione di contenuti relativi a indirizzi individuali, obbligatori e facoltativi.

Inutile ricordare qui le dinamiche politiche e culturali che inibirono qualunque applicazione del modello stesso.

([4])  Da rimarcare, in proposito di attuazione non realizzata della Autonomia delle Istituzioni scolastiche, che la sua iniziale realizzazione sia pure accompagnata da entusiasmo innovativo, è avvenuta lasciando inalterato il “modello” di “gestione sociale e collegiale” rimasto legato ad una legislazione di un quarto di secolo antecedente.

La “chiusura” di organismi e dispositivi di gestione sociale territoriale (dai Distretti ai Consigli Provinciali) o la loro trasformazione in “appendici e articolazioni della gestione amministrativa, dà sostanza alle affermazioni qui ribadite sulla irrisolta, e pure fondamentale, questione della Governance necessaria di fronte a titolarità plurime da integrare e funzionalizzare a progetti e risultati comuni di qualità.