Raccolgo l’invito a discutere con Dario Missaglia, riprendendo brevemente alcune sue considerazioni a proposito della pandemia secondaria e della risposta pedagogica che la scuola deve assumere.
Lo scenario che si è riaperto a settembre 2021 ha segnato indubbiamente un nuovo contesto: alunni e studenti non sono più gli stessi. Sono altri corpi, altre teste, altre menti… e sembra che nei 20 mesi e più di pandemia, li abbiano educati di più il virus e le regole sanitarie burocratiche che i soggetti formali e informali che vivono attorno e con loro. Soprattutto nel triennio della secondaria superiore e nel delicato anno di passaggio della terza classe, osservo un deficit di prospettiva pedagogica: gli adolescenti della generazione Covid vivono schiacciati nell’istante, favoriti da una iperesposizione voluta e forzata a social, video e smartphone (si pensi cosa implica per un ragazzo di 16 anni, positivo con o senza sintomi, 10 giorni di isolamento), nel quale la dittatura dell’istante prevale sulla memoria del passato e sulla visione di sé nel futuro. Come la scuola potrebbe contrastare questa tendenza? Come la scuola, luogo di formazione e organizzazione si può porre in termini alternativi e costituire un ancoraggio solido per la costruzione di identità positive?
Ben venga dunque un nuovo capitolo del Protocollo pedagogico che Proteo ha lanciato nelle scuole, mettendo al centro la qualità della relazione educativa, cioè la cura della persona. Accenno ad alcune piste di lavoro:
La cura, ricorda Dario, sono anche ore fatte di ascolto. L’ascolto, implica senz’altro tempo, spazio, disponibilità di un emittente e di un ricevente ad entrare in relazione. Ma le nostre scuole vivono questa dimensione nel bel mezzo della pandemia? La mia percezione è che le scuole siano troppo spesso luoghi di erogazione di prestazione, assorbiti quotidianamente dall’esercizio di una burocrazia dell’apprendimento, piuttosto che luoghi di relazione e impresa conoscitiva. Quanti ragazzi vanno a scuola con il desiderio di incontrare gli adulti, i propri compagni, le discipline?
In queste domande sta il senso della nostra ricerca e della nostra responsabilità.
Maurizio Gentile, professore associato – Dipartimento di Scienze Umane (Comunicazione, Formazione, Psicologia) – Università di Roma LUMSA