È scomparsa in questa mattinata del 4 gennaio, Egle Becchi, una delle figure più significative della cultura per l’infanzia. Lei che aveva visto nel Novecento, “il secolo dei fanciulli”, aveva iniziato a interrogarsi con rigore e passione su un mondo dell’infanzia che stava cambiando forma sotto i suoi occhi per effetto del calo demografico, che avrebbe aperto a scenari di solitudine infantile; del miglioramento delle condizioni di salute e quindi di drastica riduzione della mortalità infantile; del diffondersi di bambini nuovi, di diversi colori, culture, provenienze; presenze nuove che hanno iniziato a scardinare conoscenze desuete e modelli sociali inadeguati. Egle Becchi avvertiva che il sapere sull’infanzia, finalmente affermatosi nel panorama scientifico del Novecento, faticava a penetrare la complessità di questa “realtà bambina”, lasciando vuoti e domande che non riguardano solo l’infanzia ma anche il nostro modo di diventare adulti. Una assillante parcellizzazione del sapere iniziava a prendere corpo, smarrendo strada, facendo il senso della ricerca pedagogica e scientifica. Pensieri e inquietudini mai così vive come ai nostri tempi in cui solo la pandemia sembra metterci di fronte al fatto che proprio perché di meno i bambini sono diventati più complicati per provenienza, culture familiari, ritmi di sviluppo. Egle Becchi ha sempre voluto testimoniare questo suo assillo: riuscire a conoscere fino in fondo il mondo infantile, consapevole che questo avrebbe aiutato anche noi adulti a ricordare e capire età che sono state vissute e troppo spesso messe in un angolo. Un messaggio che attraverso le sue numerose opere, ci lascia in eredità un impegno tutto da proseguire.
Dario Missaglia