Associazione professionale Proteo Fare Sapere
05 maggio 2020

"I bambini sono invisibili?" di Teresa Garaffo

Appunti di una maestra in quarantena

Sembra difficile oggi riflettere su qualunque argomento senza vederlo in funzione dell’attuale emergenza. Mi sembra invece importante inquadrare il presente e le riflessioni che suscita in una prospettiva storica. A cominciare dal problema dell’invisibilità dei bambini.
Mi è capitato di ripensare, in questi giorni di discussione sulla scuola in tempi di pandemia, ai quattro volumi pubblicati in Italia alla fine degli anni ottanta che descrivono i risultati di una ricerca sulla qualità della vita dell'infanzia da zero a sei anni (condotta dalla sezione infanzia dell'IRPA - Istituto regionale per l'apprendimento - e finanziata dalla Regione Emilia Romagna). La ricerca, coordinata da Piero Bertolini e Paola Cardarello, aveva in primo luogo un obiettivo: quello di delineare un quadro reale della condizione infantile nel nostro Paese che potesse rappresentare un utile riferimento per scelte responsabili nell’ambito delle politiche per l’infanzia, scelte fondate sui reali bisogni dei bambini.
Oggi, nonostante siano passati circa quaranta anni dalla pubblicazione dei dati dell’indagine, gli indicatori culturali della qualità della vita individuati dalla ricerca sono da considerare come degli obiettivi ancora in gran parte da raggiungere e i dati provenienti dai rapporti sulla povertà educativa forniscono un quadro preciso della situazione dell’infanzia e
dell’adolescenza in molte parti del nostro paese. Interventi sociali e politiche mirate a favore dell’infanzia sono stati all’ordine del giorno negli ultimi decenni nei programmi politici dell’Unione Europea, ma forse in Italia da qualche tempo abbiamo smesso di ragionare su certi argomenti. Non è un caso quindi che i bambini sembrano essere invisibili nelle parole e nei programmi futuri di chi governa e che riguardano la maniera in cui potrà riprendere la vita quotidiana, compresa quella della scuola.
Il fatto è che ragionare sulla qualità della vita delle giovani generazioni non è un’azione che si improvvisa in tempi di emergenza: significa avere una storia comune di esperienze e riflessioni su luoghi, tempi, spazi, incontri che coinvolgano tutte le forze in campo in tutti i territori (oltreché nelle scuole), in città che dovrebbero essere a misura di bambini e che ancora non lo sono nella maggior parte del nostro Paese. Mi viene in mente anche tutto il lavoro di confronto svolto negli Incontri Internazionali di Castiglioncello, la cui prima edizione risale al 1984, anche questi
documentati in una serie di volumi pubblicati dalle case editrici La Nuova Italia, Tecnodid, ETS.
Organizzati dal Coordinamento nazionale dei Genitori Democratici e dal Comune di Rosignano Marittimo (Livorno), gli incontri hanno rappresentato un'importante occasione di analisi e riflessione sulle condizioni dell’infanzia e costituito, nel corso degli anni, uno spazio di dibattito fondamentale per affermare i diritti di cittadinanza dei bambini e delle bambine, per sostenere le famiglie, per ridiscutere ruoli e valori dei servizi per l’infanzia, per costruire legami tra sapere, educazione e democrazia. Obiettivo degli Incontri era infatti proprio quello di favorire il dialogo tra il “mondo degli esperti” e il mondo della quotidianità”: tra insegnanti, genitori, operatori dei servizi socio-sanitari, amministratori locali, rappresentati delle istituzioni e del mondo accademico.
Per ogni edizione un tema specifico, individuato tra le tante questioni emergenti nel mondo dell’infanzia, che non sempre vengono affrontate nella formazione iniziale degli operatori che lavorano con i bambini. Nonostante non abbia partecipato di persona, ho avuto modo di leggere gli atti delle varie edizioni più tardi, lavorando alla mia tesi di dottorato. Penso che i temi degli incontri siano di grande attualità e meritino ancora la discussione e il confronto. Per questo motivo ne elenco qui alcuni:

  1. L’impatto delle nuove tecnologie sullo sviluppo infantile, affrontato dal punto di vista dei processi di trasformazione che ha determinato nella nostra cultura e nella educazione dei bambini, in riferimento all’apprendimento, alla creatività, alla affettività e alle relazioni tra bambini e tra bambini e gli adulti
  2. Violenza e infanzia, dalle forme più drammatiche ed eclatanti a quelle silenziose e quotidiane in famiglia e nelle istituzioni, razzismo, guerra, intolleranza etnica, sfruttamento minorile, emarginazione sociale e culturale, bambini ai margini della legalità
  3. L’intensificazione dei comportamenti provocatori o passivi, i processi di costruzione delle regole sociali, il ruolo della comunicazione, dei genitori, degli educatori, modelli contraddittori dei comportamenti degli adulti in un mondo senza regole che tutelano e garantiscono
  4. Il valore e il ruolo della fantasia e della creatività in una società che richiede competenza, autonomia, flessibilità e capacità di adattarsi ai nuovi scenari, i fattori che inibiscono fantasia e immaginazione e quali sono invece le condizioni che possono sollecitarle
  5. La comunicazione come contenitore dentro il quale si realizzano i processi educativi e formativi, le opportunità inesplorate, le forme inedite di ignoranza comunicativa occultate dalle illusorie capacità dei bambini e dei ragazzi di padroneggiare le nuove tecnologie, i processi di responsabilità condivisa fra scuola e genitori, la narrazione come luogo di incontro fra generazioni diverse.

Ritornando adesso al mio mestiere di insegnante, che si snoda lungo il percorso delle cose su descritte, rielaborate nel tempo attraverso la mia esperienza di lavoro con bambini dai tre ai sei anni.
L'ultimo giorno di scuola, che per noi in Sicilia è stato il 4 marzo, è arrivato improvviso e inaspettato, irreale direi, nonostante già in altre parti d’Italia le scuole fossero state chiuse. Da poco nella mia sezione i nuovi arredi avevano sostituito i vecchi: banchi, sedie, armali, scaffali che ci avevano fatto trasformare tutto lo spazio in un altro spazio. Una settimana intensa di grandi pulizie insieme alle colleghe e ai bambini, di pratica metacognitiva la definirei: butta quello, salva quell'altro, questo ci può servire per, gli scatoli li dobbiamo buttare ma prima ci facciamo questo gioco, ma quante cose abbiamo costruito e non lo sapevamo.... Tra febbraio e marzo, come sanno bene tutti quelli che lavorano nella scuola, i bambini si trasformano come la primavera: i più timidi diventano finalmente vivaci e intraprendenti, e i più vivaci cominciano a canalizzare le loro energie.
Sono giorni di “raccolto” in un senso molto ampio e in più molte attività possono essere svolte all’aperto e l’esplorazione, la scoperta, diventano il canovaccio delle nostre attività più che in altre parti dell’anno.
Due questioni, pensando a questo: è possibile una didattica a distanza con i bambini più piccoli? E in che direzione muoversi? Sulla prima domanda non ho molto da dire; ci troviamo, al momento, in questa situazione e non abbiamo altre possibilità se vogliamo continuare a seguire i percorsi dei nostri bambini, anche se in un contesto diverso da quello della scuola. Come diceva Don Milani, il tempo non va “bestemmiato” ed è necessario trovare altre modalità di azione
sperando di tornare presto alla normalità, ma sapendo che questa esperienza segna sicuramente un momento di passaggio. Rispetto alla seconda questione, e cioè la direzione, quindi la qualità, ci sono azioni che devono essere ben pensate quando si lavora con i bambini. Inizialmente attraverso l’uso di whatsapp e poi man mano attraverso le piattaforme messe a disposizione dalle scuole, anche gli insegnanti di scuola dell’infanzia sono all’opera.
Cosa proporre ai bambini? Dovrebbe essere chiaro (ma forse non sempre lo è) che il problema non è il numero di attività da svolgere fino alla fine dell’anno. Mi risuonano in mente le parole di Ada, quasi quattro anni, che sente il bisogno di inviare messaggi di speranza e di unione: “Maestra, poi qualche volta torniamo a vederci? Maestra ho fatto i biscotti, poi li prepariamo insieme ai compagni”.
Ora, non c’è dubbio che il nodo forte con bambini così piccoli sia proprio la relazione e la mancanza del contatto reale; molti insegnanti si stanno attrezzando per costruire relazioni a distanza non solo con i bambini, ma anche con i genitori che non erano abituati a trascorrere un tempo così lungo con i loro figli. Queste le parole della mamma di Ada: “Lei adora le persone. Le piace giocare con altri. Le piace raccontare. Ma è piccola e il gruppo dei suoi pari, a distanza, ha bisogno di estrema mediazione degli adulti. Come faremo senza scuola dell'infanzia?”. I materiali che stiamo condividendo con i bambini risentono dei percorsi svolti a scuola prima del lockdown; ricalcano metodi, visioni: se le schede prestampate non c’erano prima non ci saranno neanche adesso. Io per esempio non amo tutti quei racconti che parlano ai bambini del coronavirus in maniera sdolcinata e fiabesca, definendo il virus mostriciattolo; mi piace parlare schietta con loro, il virus per me rimane un virus e poi dalla scienza nascono narrazioni colme di emozioni, paure, curiosità. Gli sguardi dei bambini, visti attraverso la chat, sono sorridenti. Mi sorprendo a pensare, ogni volta che ci vediamo, a come stanno crescendo rapidamente.
Come accade quando si guardano le cose con un po’ di distanza, è però il punto di vista a cambiare.
Ci troviamo a parlare con i genitori come se fossero dei colleghi perché a loro affidiamo delle consegne precise e serie: privilegiare l’autonomia, sostenere la scoperta, allargare le nostre proposte nel contesto operativo della casa, avere pazienza, prendersi tempo. Non sono consegne facili, ed è incredibile e profondo quello che sta accadendo. Non avrei mai immaginato di ascoltare un audio in cui Nicolò e la sua mamma (quasi completamente assente nella vita scolastica normale) ripetono insieme le parole di una filastrocca in inglese; il bimbo non riesce a pronunciare il suono “sm” della parola small, si sente la risata della mamma che dice: “Ci dobbiamo lavorare su questo suono”. Mi sembra una affermazione di grande rilievo pedagogico. Anche se non tutti i genitori rispondono allo stesso modo io credo che questa sia una direzione da seguire.
Il problema della genitorialità con cui ci scontriamo durante il lavoro a scuola, l’essere comunità che accoglie e sostiene la crescita dei nostri bambini, il continuo rimando tra il dentro e fuori della scuola, della famiglia, del territorio, il confronto e la condivisione di intenti tra i diversi servizi che non può mancare quando si pensa ai percorsi di crescita dei nostri bambini: sono questi i punti forti su cui riflettere in questo momento difficile, anche tra insegnanti di scuole diverse e con la comunità tutta. Tracce da seguire per ritornare a discutere dei bambini come umani e non come esseri invisibili.
Cosa accadrà ai servizi educativi e alle scuole dell’infanzia nell’immediato futuro? Le voci sono tante e spesso discordanti. Apriranno le scuole a settembre? Ci sono segnali che dicono che si continuerà con la didattica a distanza. E le scuole per i più piccoli che presuppongono la relazione sociale e il contatto come punto fondante del progetto pedagogico? Dovremmo cominciare a capire e discutere come prepararci in termini progettuali e in relazione agli spazi e alle strutture esistenti, in ogni territorio del nostro Paese. Poi, anche, come formare gli adulti alle nuove emergenze, poiché tornare in classe senza un'adeguata preparazione non sembra possibile.
Bisogna mettersi al lavoro da subito per costruire un pensiero pedagogico che accompagni la riapertura dei servizi educativi per i bambini.

E comunque noi, anche se attraverso la tecnologia, stiamo organizzando una festa a sorpresa per i quattro anni di Ada.

Teresa Garaffo