Associazione professionale Proteo Fare Sapere
28 febbraio 2022

La guerra torna in Europa: il ruolo della scuola, cosa fare in classe – di Giuliano Franceschini

Il “secolo breve” si sta rivelando più lungo del previsto, l’Europa torna teatro di guerra come già era successo negli anni ’90 del Novecento nei Balcani e sempre sulle braci rimaste accese della Seconda guerra mondiale, anzi di quell’unica grande guerra mondiale 1914/1945 che ha funestato il Vecchio Continente. Il fronte orientale che sembrava definitivamente caduto nel 1989 torna a bruciare periodicamente dimostrando che la contrapposizione Est/Ovest esiste ancora, si è solo spostata in avanti fino al punto di massima tensione laddove era inevitabile si accendesse il conflitto. Torna tutto il lessico e l’armamentario concettuale del Novecento belligerante: guerra fredda, blocchi, guerra lampo, imperialismo zarista, spazio vitale, zone di influenza, stati cuscinetto, ecc. In più questa volta abbiamo una situazione internazionale a dir poco conflittuale, pronta ad infiammarsi da un momento all’altro, dai sogni neo-ottomani di Erdogan all’imperialismo cinese all’unilateralismo statunitense ormai sbiadito ricordo dell’egemonia a stelle e strisce della fine del Novecento. Lasciamo ad altri il compito di effettuare precise analisi geopolitiche, in questa sede vogliamo affrontare il discorso del conflitto in corso dal punto di vista pedagogico e didattico: come può reagire la scuola di fronte ad un conflitto armato acceso nel cuore dell’Europa?

L’errore da evitare

In primo luogo è bene chiarire che l’errore più grande da cui guardarsi è senza dubbio quello di evitare l’argomento, fare finta di niente, voltarsi dall’altra parte e continuare nelle attività didattiche come se nulla fosse accaduto. Sarebbe l’errore più grande, l’indifferenza, come ci ricorda Gramsci, in queste occasioni è complicità e il messaggio che passerebbe ai giovani sarebbe devastante: tutto ciò non ci riguarda direttamente, non sono affari nostri, che se la sbrighino tra di loro, noi andiamo avanti. Al contrario è proprio in queste occasioni che emerge il ruolo educativo della scuola, che non si esaurisce nel trasmettere conoscenze e formare competenze ma trova il suo compimento nell’educazione alla convivenza sociale, alla soluzione dei conflitti in modo non violento, alla solidarietà e alla comprensione fra tutti gli esseri umani, senza alcuna distinzione. È questo il compito principale della scuola così come lo suggerisce la Costituzione italiana del 1948 proprio in risposta ad una guerra e ad una dittatura devastanti. Il neoliberismo educativo degli ultimi trent’anni, con l’ossessione della formazione di competenze spendibili nel mercato del lavoro, ha in parte oscurato questa missione educativa che ora è tempo di recuperare proprio per comprendere insieme agli studenti fenomeni come quelli della guerra in corso, prendere posizione in merito ad essi, porre la basi affinchè non si verifichino più.

Il ruolo della scuola

Stabilita l’importanza di affrontare l’argomento vediamo ora di stabilire alcuni obiettivi e metodologie che la scuola potrebbe attivare per gestirne la complessità. In primo luogo l’argomento deve essere affrontato in forma autenticamente collegiale, non in modo unilaterale da ogni singolo docente; una guerra come quella scoppiata in Ucraina richiede un’analisi di tutto il collegio dei docenti per stabilire come, quando e perché parlarne agli studenti. Deve essere chiaramente percepito l’interesse di tutta la comunità scolastica in ogni sua componente, interesse che può essere reso esplicito in un documento scritto a nome di tutta la comunità, coinvolgendo ovviamente genitori e studenti laddove possibile. Questa la base di partenza, poi si tratta di intervenire nella didattica in classe.

Una didattica attiva

Il primo obiettivo da perseguire è quello di offrire a bambini e ragazzi una mediazione critica e selettiva con l’enorme quantità di dati provenienti dai mass-media; la metodologia non può che essere quella della didattica attiva. Mettere a confronto le varie fonti, dai giornali alle trasmissioni televisive e radiofoniche ai siti internet e arrivare alla formulazione di un quadro condiviso, elaborato da studenti e docenti che faccia chiarezza, che aiuti a conoscere e comprendere l’esistente, organizzato intorno a poche domande: dove? chi? quando? perché? Freinet di sicuro dedicherebbe un numero del giornale di classe all’argomento, oggi si può pensare ad un documento da postare nel sito della scuola con immagini, brevi testi scritti, link a fonti autorevoli di informazione. Poi ci sono gli approfondimenti possibili in ogni ambito disciplinare, dalla storia alla letteratura alla geografia all’economia, ecc., sempre allo scopo di comprendere cause profonde e conseguenze nel breve e nel lungo periodo del conflitto in corso.

La partecipazione all’emergenza umanitaria

Il compito della scuola in quanto comunità educante non si esaurisce nell’analisi della situazione, ogni guerra è una catastrofe sociale che genera morti, sfollati, rifugiati, feriti, orfani, emergenze alimentari e sanitarie; non si può solo stare a guardare è possibile intervenire fattivamente con la raccolta alimentare e di abbigliamento, con l’invio di fondi alle organizzazioni umanitarie riconosciute internazionalmente, con la corrispondenza scolastica e l’invio di materiale didattico alle scuole ancora funzionanti. Una scuola intesa come comunità può fare molto in questo senso, purché funzioni veramente come una comunità ovvero come un organismo che mette in comune, che dona, che condivide, che partecipa. E l’aiuto umanitario esige organizzazione e rigore, l’altra faccia della comunità, senza la quale le buone intenzioni restano retorica ovvero indifferenza ben mascherata.

Le finalità sui tempi lunghi

La scuola lavora sui tempi lunghi, produce effetti anche molti anni dopo essere stata frequentata; nel nostro caso la finalità generale è chiara: che la guerra non torni mai più grazie alla formazione di cittadine e cittadini maturi e consapevoli, informati e dotati di pensiero critico, in grado di prendere posizione e di intervenire attivamente per aiutare i propri simili. Consapevoli che ogni conflitto può e deve essere risolto senza l’uso della violenza. Per raggiungere questa finalità così ambiziosa il ruolo del gruppo degli adulti è fondamentale, esso si pone come gruppo esemplare di ciò che vuole formare, gruppo da emulare in quanto esempio di solidarietà e razionalità, sensibilità e impegno. Soltanto un collegio dei docenti realmente convinto dell’importanza di affrontare un tema così delicato e complesso come un conflitto armato può sperare di trasmettere alle nuove generazioni un messaggio realmente pacifista e non violento.

Giuliano Franceschini